In attesa delle nuove esposizioni, continuamente rimandate, pubblichiamo un resoconto dell’ultima mostra allestita presso la Nuova Galleria Civica di Montecchio Maggiore, scritto da Resy Amaglio, già nostra collaboratrice. La CCC ha curato l’ambientazione musicale.
Bruny Sartori alla Nuova Galleria Civica di Montecchio Maggiore
di Resy Amaglio
Con la mostra Dal seme dell’immagine, dedicata a Bruny Sartori, scultore ceramista e incisore, la stagione espositiva 2015 della Nuova Galleria Civica di Montecchio Maggiore si è conclusa con successo, suggellando il progetto a firma di Giuliano Menato, articolato attorno a differenti temi e a nomi di tutto rispetto nel settore dell’arte.
Sartori è artista di lunga esperienza e consolidata reputazione, distintosi da tempo per l’originalità degli interessi che incardinano il suo operato, dalla poesia alla storia, dalla musica alle scienze naturali, oltre che per la cura posta nella realizzazione di manufatti nei quali la libertà creativa e lo scavo interiore s’intrecciano continuamente.
Dotato di singolare sensibilità, negli anni si rivela anche abile e convinto sperimentatore di strumenti linguistici inconsueti con cui rendere percettibili istanze sentimentali profonde. Seguirne l’evoluzione equivale pertanto a percorrere sentieri problematici, intercettando quesiti di non semplice decrittazione: un iter insieme visivo e narrativo non di rado sorprendente, che non rifugge da accenti stranianti e tocca momenti di notevole suggestione.
La mostra di Montecchio ne ha messo in luce le tappe più significative, con particolare riguardo alla produzione dell’ultimo quindicennio.
Si tratta di un periodo particolarmente impegnato per l’artista, i quale orienta il proprio progetto creativo verso un duplice fronte, la volontà di plasmare forme idonee a sfruttare al meglio le potenzialità dei materiali prescelti e il desiderio di dare concretezza visibile a riflessioni introspettive: cammino movimentato, reso accessibile da un’ispirata perizia di Sartori, che con voluta leggerezza risolve problemi e incertezze sul piano di una pregnante immediatezza.
Il coinvolgente racconto per immagini si apre con opere strettamente legate allo studio sulla manipolazione dei materiali. Blueform, Quadrichrome, Risonanze geologiche sono l’immaginaria rappresentazione di forme primeve, nate dal coagularsi della materia inerte in caduta libera dal vuoto interstellare al suolo terrestre. In dialogo con lo spazio che le accoglie, queste opere si caratterizzano per il felice connubio tra imponenza e fragilità, leggibile nel gioco minuzioso delle superfici variamente contratte, e per le scelte cromatiche, di squillanti colori-simbolo fusi con la materia stessa, ad arricchirne la resa estetica.
Un passaggio cruciale per la comprensione dell’intero percorso è costituito dall’installazione Underskin. La composizione si presenta come un delicato tappeto di formelle rosso-rosa: ma una sottile inquietudine sembra turbare l’armonia delle superfici, modellate al modo di epidermidi mosse da leggere increspature tra le quali emergono, larvali, parvenze antropomorfiche. Si delinea così un’intenzionale variazione prospettica della creatività dell’artista, volta ora verso un orizzonte naturalistico interpretato in chiave allusiva: esemplare in tal senso è il ciclo dei Semi.
Realizzando il gruppo di sculture pensili La carne del tempo nei giorni in cui più grave è la crisi che ha colpito la nostra società, Sartori si misura invece con l’impellente desiderio di partecipare emotivamente, secondo i propri mezzi, ad una realtà umana sostanziata di fatica e sofferenza: i brandelli di visceri lacerati, dalle vene beanti, caratterizzati da un violento seppure immaginario iperrealismo, ne sono il drammatico simbolo. L’impatto visivo è duro, di pena e ripulsa. Ma al di là di qualsivoglia intenzione, nelle mutevoli forme connotate in ogni dettaglio da un’autentica sapienza artigiana si riflette un’intima intelligenza della realtà, unita alla capacità di rielaborare artisticamente sentimenti e pensieri.
E infine ecco i Teleri, simili a quadri musivi le cui tessere altro non sono che frammenti di lastre radiografiche: un’invenzione vagamente surreale, per simboleggiare il rapporto tra l’uomo e lo scorrere desolante del tempo. La sperimentazione d’un linguaggio eccentrico rispetto alla sua stessa esperienza consente a Sartori di trattare il tema con mano accorta, fino a trasformare i pannelli in brani di gioiosa pittura, con inserti di colore vibranti nella luce.
Oltre che nel pregio di quanto esposto, il fascino di una mostra risiede però anche nel rapporto tra le opere e l’ambiente. La Nuova Galleria di Montecchio è uno spazio per molti versi straordinario: dal recupero di una costruzione elementare come una rimessa ferroviaria è nata una struttura ambientale invidiabile, per l’elegante minimalismo delle soluzioni, rispettose del passato eppure innovative. Il lavoro sull’archelogia industriale è una risorsa, come già si è capito altrove, ed è assai interessante che ne abbia fatto tesoro un centro della nostra provincia. Un merito e un impegno per il futuro: gravoso, dati i tempi, ma certo non trascurabile.