ZIG ZAG TRA LE OMBRE
di Alberto Peruffo
La settimana scorsa sono andato a ripetere la Diretta delle Ombre, parete sud del Baffelàn, con mio figlio.
Devo dirlo, è una bella linea, di per sé.
Non ti aspetteresti di trovare roccia e passaggi di tale genere, qualità, sul versante più nascosto del Baffelàn. Già l’Indiretta mi aveva stupito. Questa linea conferma la bontà della parete sud. Trascurata dai più. Riscoperta negli ultimi anni. Dove i segni della storia non sono chiari
Diciamo, “ombrosi”, per richiamare, dissociato, il nome proposto dagli “apritori”
Devo però dire anche questo: in sé e per sé, la via non è per niente Diretta. Lo è di più l’Indiretta di Sgreva e Carretta. Anzi, è piena proprio di ombre, di zig zag, a volte illogici, a volte chiaramente ricercati per dare originalità, forza estetica e facile transitabilità – in fatto di arrampicata – alla via. Che comunque è notevole. Per vari aspetti. Sia positivi sia negativi.
Dal punto di vista alpinistico e storico – personalmente quello che a me più interessa – la via risulta una violenza – per l’abuso di spit – al buon senso che ti indica la roccia, oltre che la storia. Qualche traccia infatti l’abbiamo trovata, sia in via, sia tra i libri. La commistione di stili di chiodatura e la sovrapposizione con le vie storiche di Gino Soldà, che qui passò senza mettere chiodi, o mettendone presumibilmente pochi, oltre che alla valutazione poco coerente e corrispondente alla reale difficoltà dell’itinerario indicato nella relazione “ufficiale” [v. allegato], suggerisce le seguenti precisazioni. Nel dettaglio.
Fino a metà via, sopra l’incrocio con la Roby Rocco, la via è sicuramente stata aperta dalla cordata dei due alpinisti scledensi che riportarono le relazioni sulle fonti che noi possediamo come variante d’attacco alla Casara e alle Soldà [Rivista Mensile CAI 1928, Alpi Venete 1955, Guida CAI-TCI 1978] o da altri fine anni 80 [Dario Segato e Giovanni Lora, relazione presso CAI Valdagno]. La via infatti, inizialmente, è talmente logica e per niente estrema, anzi, invitante, con buona roccia [v. foto 1 e 2], che i primi salitori di questa zona della parete sud, molto più attraente dell’attacco dell’Indiretta Sgreva – dove parte pure la Casara – certamente sono saliti per dove ora passa questa “nuova” via. Lo attesta la stessa partenza obliqua della Roby Cocco, che evita l’approccio più logico, diretto, della paretina/diedro iniziale.
Lo attesta anche un chiodo vecchissimo trovato appena prima dal tratto che gli “apritori” danno di VII/A0, nel secondo tiro. Grado alpinistico sopravvalutato. Il grado obbligatorio è un V, poiché è chiodato in modo eccessivo, azzerabile. In libera un VI-. O qualcosa di simile. Lo stesso sotto, il primo tiro, anche questo spittato inutilmente – un bel chiodo ci stava senza forare, oppure un cordino su uno spuntone come messo da mio figlio [v. foto 3] – valutato 5b+, a me è sembrato un IV, forse superiore. Gli spit che si trovano nei primi tiri sembrano stati messi solo per segnare visivamente la via. Il chiodo trovato comunque è inoppugnabile [v. foto 4] . Vecchio e impossibile da togliere e ci dice: quei primi due tiri erano già stati fatti [v. foto 5, fatta sul secondo tiro, da noi uniti]. Come il canale del tiro successivo, il terzo, descritto questo pure da Soldà [v. foto 6 + Galleria altri documenti]. Il quarto tiro non ha storia. Lo hanno fatto tutti. Anzi, è già stato violato – poiché in comune – con la Roby Cocco da uno spit e un cordone. Anche qui la valutazione con i gradi francesi è esagerata. La fessura del masso incastrato offre la possibilità per mettere friend e un dado in uscita, per una difficoltà alpinistica non superiore al VI [v. foto 7 e 8]. Direi VI-, considerato che noi l’abbiamo trovato bagnato. Anche qui abbiamo trovato un chiodo vecchio [v. foto 9 e 10], sulla parte esterna invisibile, per chi segue con l’occhio il cordone dello spit.
Da questo punto in poi la via prosegue forse con una certa indipendenza, perché effettivamente a sinistra dell’Indiretta un via ci stava tutta. Ma sembra che proprio da questo punto Soldà, dopo aver aperto la via da solo molto più a sinistra, guidato dal canale camino dove porta la stessa discutibile Roby Cocco, sia tornato con il fratello qualche giorno dopo (siamo nell’agosto del 1928!) e abbia tirato diritto per la parete aperta che porta verso l’alto senza seguire una linea obbligata, offrendo la stessa ampie possibilità, appena si esce dal risalto che sta sopra la sosta 4. Bisognerebbe ripetere le vecchie vie, leggere i libri e le relazioni relative prima di sparare spit e presunte prime aperture, ti viene da pensare quando vedi quello che ora vi mostrerò.
Tornando alla sosta 4, da dove o si sale per il facile canale di sinistra o si salta sopra a un difficile breve passo a destra, Soldà, e ogni alpinista che cerca la linea naturale offerta dalla morfologia, saltato su, sarebbe proseguito per il verticale canalino appena sopra il salto. La Roby Cocco viola invece le facili placche con tre spit sulla paretina di sinistra, evitando il salto, mentre la Diretta delle Ombre, dopo il saltino, fa un traverso ad angolo retto, davvero assurdo, con una fila di spit oscena, oltre che poco utile, obbligandoti a fare un angolo di protezione illogico: con un obliquo appena un po’ più difficile, un V+, si arriva sullo stesso punto. Così abbiamo fatto noi saltando via i 2 spit assolutamente superflui, messi su una roccia davvero sana e chiodabile [v. foto 11 e 12]. Unico scopo di quegli spit è farsi vedere e gareggiare con quelli vicini della citata Roby Cocco, a pochi metri. Osceni è dire poco.
Le placche successive sono molte belle e chiodate bene, con chiodi tradizionali, fino alla sosta 5. Qui siamo molto vicini all’Indiretta, e se uno non la conosce, rischia di infilarsi dentro, perché la roccia è super per tutta la parte superiore. Le due vie ora rischiano di toccarsi e credo che pure Soldà sia uscito di qua, non so per dove. Più probabile verso sinistra, dove sono usciti i ragazzi delle Ombre, che per l’Indiretta, la quale mostra degli strapiombi finali meno invitanti, rispetto alla bella roccia sulla sinistra, più bella e più facile.
La “nostra” via quindi si sposta per forza ancora a sinistra, con un traversino, obliquando anche qui grazie a degli spit segnavia [v. foto 13]. Da qui in poi le due vie corrono parallele: la roccia è ora molto-molto bella, con passi di V e IV continuo, chiodatura giusta, ma mista caffè, tanto da arrivare a fare sosta – ovviamente spittata ad arte – a due metri da un clessidrone che avrebbe tenuto un camion rimorchio [v. foto 14].
Il settimo tiro, forse per paura di avvicinarsi troppo alla Indiretta, fa nuovamente un traverso illogico a sinistra, passando il clessidrone citato, quando tirando dritto in obliquo, forse con difficoltà più continue e intriganti, su roccia super, si arrivava allo stesso punto. Questa volta, per rispettare la via degli “apritori”, facciamo questo antiestetico traverso, sempre su roccia ottima [v. foto 15]. Poi riprendiamo dritti, evitando tutti gli spit messi a sinistra, sempre per paura di finire dentro alla Sgreva, che in realtà resta più in là di qualche buon metro. Forse gli apritori non l’avevano ripetuta prima di fare questo continuo spostamento a sinistra, anche quando non serviva. Forse è il punto dove altri ripetitori trovarono gli spit vicino alla Indiretta e ora sono stati spostati (li trovai anch’io in un punto, due anni fa, vicino alla Sgreva, più sotto). Comunque la roccia è super e tutto è poco chiaro per i troppi spostamenti laterali.
Arrivati alla sosta 7, altro dubbio. La roccia è bella andando dritto, come gli spit indicano, ma il rischio di avvicinarsi troppo alla Sgreva o forse alla Soldà è ora davvero a portata di mano: sulla dx fotografo un chiodo non vecchissimo, ma vecchio… della Sgreva [v. foto 16 – messo, dai ragazzi delle Ombre, in ripetizione – ndr dopo pubblicazione]. Obliquando leggermente sulla sx si va cmq su, lontano dall’Indiretta, prendendo di petto – qui veramente (questa via è appunto uno spostamento continuo, altro che prendere di petto, come scritto) uno strapiombo non estremo, ma di bella roccia. Sottolineo: qui, come in altri punti sotto, dopo parti superspittate ne seguono altre senza niente. Che non è un problema, se non per un approccio di coerenza, che può avere conseguenze “sinistre” per arrampicatori poco preparati a non trovare – d’un tratto, nel tratto – il tutto preparato.
Questa volta decidiamo quindi di tirare dritto, o meglio, in diagonale, senza fare il lungo traverso. Siamo stanchi di fare traversi inutili. Giacomo trova una clessidra, e con passaggio di VI+ o forse VII- arriva a metà della linea di spit che arrivano da sotto e che segnano il 6b+/A0 [v. foto 17, 18, 19 e 20]. Appena sopra decidiamo di fare sosta. La via infatti attraversa ancora una volta a sinistra con un deciso traverso, che poi ti riporta in diagonale a destra, per formare un vero e proprio zig zag, una zeta al rovescio. Questa volta lo seguiamo, anche se credo, con qualche difficoltà e coraggio in più nel posizionare dei chiodi, in modo scomodo ovviamente, si poteva arrivare allo stesso punto per poi proseguire alla sosta 10. Da lì in vetta, si esce senza problemi e fatti degni di nota [v. foto 21 e 22].
Alcune considerazioni finali.
Prima. La linea, dal punto di vista della roccia, e nonostante i continui zig-zag, tendenti a sinistra, a volte eccessivi e inutili, è una gran linea e ci stava tutta e merita la ripetizione. Ma consiglio prima di ripetere l’Indiretta, per non sbagliare. Raddrizzerei comunque 3 dei 5 traversi con delle diagonali.
Seconda. Di chi sia la via, non lo so. Fino al quarto tiro era già stata salita sicuramente da altri “arrampicatori”, che essendo “pure alpinisti” non hanno trivellato la roccia e hanno lasciato poco o niente. Soldà su difficoltà e roccia del genere, articolata – non ho trovato un passo di VI classico obbligatorio, a parte il passaggio finale di Giacomo che intercetta il 6b+ sportivo… e mi domando se gli apritori abbiano mai fatto un sesto classico obbligatorio, di quelli seri, dove sputi l’anima, anche per la psicologia del passaggio: come valuterebbero il VI della Philipp o il VII- del Diedro Casarotto: VIII, IX-, o semplicemente aggiungerebbero una fila di spit per bypassare la questione? – Soldà dicevo, su roccia del genere neppure tirava fuori il martello. Passava. O forse metteva un chiodaccio con le mani… Avete mai fatto un VI di Soldà!!?? Inoltre, su pareti remote o nascoste il Gino andava su, soprattutto in Piccole, per passione pura di passare dove nessuno passava, non tanto per lasciare dei segni. Alla fine lo diceva a parole: io sono andato su di là, non ho lasciato niente, o forse un chiodo… andateci voi e buona avventura. Certo, i tempi sono cambiati. L’avventura è stata addomesticata. Nelle menti e nelle pareti.
Terza. Detto questo, sui “segni” di passaggio, immagino e auspico che potrebbe nondimeno accadere di ripercorrere le vie del passato, con delle varianti, più dirette, valorizzando lo stesso stile di apertura e senza modificare la montagna: tutto ciò porterebbe a un valore aggiunto e di novità, più elevato che aprire una presunta nuova via, specialmente forzata e con mezzi pesanti. Come a dire: abbiamo recuperato la storia e in parte aggiunto del nostro. Questa via, invece, dal punto di vista della storia e dell’uso del trapano, è un insulto. Credo che gli stessi arrampicatori sportivi – alla Roby Cocco – resterebbero allibiti per certe serie di spit seriali messi su difficoltà irrisorie, roccia sana e chiodabile, solo per segnare il passaggio, come fosse il colore biancorosso dei sentieri. Infastiditi, oltre che allibiti: perché poi improvvisamente spariscono, non si trovano i successivi, appaiono strani chiodoni artigianali, qualcuno messo male, essendo questi di acciaio duro o altro metallo poco malleabile al nostro calcare/dolomia (io stesso ne ho imparato la pericolosità, avendone usato qualcuno in apertura, come prova).
Insomma, una commistione di stili e di chiodi, una confusione di vie e di storia, che purtroppo la stessa parete, poco degna di luce, ha conservato per molti anni. Si poteva fare chiarezza invece si è fatto oscurità. Indubbiamente non è questo il modo per entrare nel Baffelàn, un santuario dell’alpinismo vicentino, troppo spesso violato. Non è la prima volta. Molti entrano senza ripetere le vie storiche, prima di aprire le proprie. Ceneri nel vento ne è un altro esempio. [certo, ce ne sono altri e ci ritorneremo, come detto e scritto sui social – ndr dopo pubblicazione]
Consiglio agli apritori di questa dubbia diretta – ci sono 5 traversi degni di nota, tutti verso sinistra, alcuni dei quali illogici per chiamarla “diretta” anche solo nel dettaglio del singolo tiro – di tornare su, togliere gli spit, posizionare bene i chiodi nuovi, valorizzare tutta la loro bella linea, in parte nuova, in parte vecchia, e di cambiare nome in: «ZIG ZAG TRA LE OMBRE, via in memoria di Gino Soldà e di altri compagni che qui salirono senza lasciare una traccia leggibile». Ma intuibile.
Se non lo fanno loro, ogni alpinista – che non sia solo un arrampicatore seriale – cioè che conosce, che ha percorso le vie storiche del Baffelàn, magari senza mai violarlo con uno solo spit (questa la mia scelta personale) o lo ha fatto con la consapevolezza che stava facendo un’oltranza sportiva (scelta di altri), ha il diritto di farlo. Di togliere quegli spit. Non c’è scritto da nessuna parte che debbano restare in quella parete. Messi come sono messi. Fa male vederli. È diseducativo e potenzialmente pericoloso. Sia per la storia, sia per le persone che si possono illudere di seguire un percorso sicuro e firmato. E se anche fosse scritto, abbiamo gli argomenti e l’autorità – i nostri percorsi personali come “autori” – per essere contrari e ribaltare queste scritture fittizie, che vogliono farsi passare non solo per nuove, ma pure per alpinismo ed arrampicata sportiva – riconosciute perché firmate – quando non sono né l’uno né l’altra: rispetto della roccia e obbligatorio inesistente inficiano le fondamenta di base delle diverse discipline, stili o tendenze, o come si voglia chiamarle. Qui si è venuti a tracciare una linea senza rispettare la roccia e la storia, con un trapano in mano, su difficoltà irrisorie. A quale scopo?
Perciò, se qualcuno in piena coscienza, decide di toglierli, li tolga.
Spero lo facciano gli apritori. Passerebbero alla storia – ora sì, forse non solo locale – come esempio non solo di come non aprire una via, ma di come riconfigurare un itinerario dopo aver appreso che la storia va rispettata e le pratiche predatorie, securitarie ed esibizioniste del proprio operare – esibire e ostentare un’apertura forzata, addirittura ai corsi di alpinismo perché costoro sono istruttori del CAI (o distruttori?), dispensatori di sicurezza e di prede alpinistiche per alimentare le proprie patacche* (mi è stato detto che hanno chiuso una lezione di storia dell’alpinismo con la loro via!) – lasciate – dette pratiche – dove devono restare. Nelle città. Non qui.
Tra le ombre dei monti.
Dove si resiste ai disastri dell’urbe.
Buone salite.
ap
ANTERSASS CASA EDITRICE | Montecchio Maggiore | VI
17 GIUGNO 2019
PS il CAI di Montecchio, in onore a Giacomo Albiero e alla montagna che amava di più – il Baffelàn (il 21/22 di settembre lo ricorderemo con un grande incontro qui a Campogrosso, a un anno dalla morte) – dovrebbe richiamare questi suoi nuovi istruttori – poco o per niente montecchiani… – ai valori che da sempre lo contraddistinguono. Come diceva e mi ha detto di persona il buon vecchio Mario Rigoni Stern – il cui idolo alpinistico era Gino Soldà! – «nel convento altrui non si porta la propria regola». Lasciate il Baffelàn libero dai vostri sfregi. Dalle vostre regole finto-sportive, securitarie, massificatorie. Non c’è scritto da nessuna parte che una via deve essere aperta per essere ripetuta in sicurezza, dalle masse. Dove c’è massa c’è solo falsa sicurezza. Ognuno se la crei strada facendo, con chiodi, friend, martello, ma soprattutto preparazione personale, atletica e di lettura (della parete e della storia), a portata di mano. Non di trapano.
*POSTILLA [dopo un giorno]. La patacca di per sé è un distintivo, mal riposto. Niente di male quando il distintivo distingue, come nel caso degli Istruttori di una Scuola, specie del CAI, che insegna pratiche e teorie frutto di una grande tradizione e storia, espressa dal Bidecalogo e dalle innumerevoli salite di queste figure, per certi versi “sacre” e ispiratrici, vedi il nostro Franco Brunello, ancora in attività, ad 80 anni. O di altri miei amici “storici”, bravi e indubitabili istruttori. Se il distintivo serve invece solo a sentirsi appartenenti a un qualcosa, senza praticare i principi di quello a cui si appartiene, bene o male che sia, esso diventa una “patacca”. Nel caso specifico è difficile essere Istruttori del CAI e contemporaneamente aprire vie del genere. Delle due, l’una. Tutto qua. Queste vie infatti sono la perfetta negazione del Bidecalogo e di tutto l’alpinismo trad, come viene chiamato, fittiziamente, oggi.
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Ringraziamo Matteo Bertolotti per la ricerca storica e gli archivi delle riviste.
HYPERLINK
Via Indiretta >> https://rifugiocampogrosso.wordpress.com/via-indiretta-alla-sud-del-baffelan/
Post su FB Arrampicate in Piccole, con commenti >> https://www.facebook.com/groups/724827004580724/
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GALLERIA RIPETIZIONE foto di Giacomo e Alberto Peruffo
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GALLERIA di altri alpinisti che documentano le tracce e gli abusi sulla Parete Sud del Baffelàn.
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